ORDINI DI LIBERTA'
[Eros Poeta]
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Nell’estate del 2014 ci fu un meeting di “alto livello” in Sicilia; una riunione di trecento persone, tra le quali Jovanotti, organizzata da Google. Egli definì tale riunione come un incontro di “illuminati”. A distanza di poco tempo venne invitato a parlare in una celebre Università. Tra le cose sorprendenti che affermò, nonostante l’evidente inadeguatezza oratoria, ci fu un consiglio ai giovani, che potremmo parafrasare sinteticamente così: «I giovani non devono mettersi in testa di cambiare il mondo come vogliono loro; piuttosto, essi devono capire quali grandi opportunità questi illuminati hanno creato per loro, e scegliere tra queste».
Tra gli orientamenti di marketing che negli ultimi decenni hanno preso piede, vi è il “monoprodotto”.
È stato difatti comprovato che il pubblico tende ad acquistare di più e in modo meno critico se la scelta che gli si propone è ridotta.
Così compaiono ristoranti che offrono solo bistecche o persino solo patatine. Negozi che vendono solo cartucce di un’unica marca, e via dicendo.
Sembra infatti che la sottesa domanda sia sgradita al pubblico: cosa è meglio acquistare?
I numeri parlano chiaro: la maggioranza degli acquirenti preferisce non avere libertà di scelta. Incredibile? Non tanto se pensiamo a un elemento anch’esso caratteristico dell’attuale cultura di massa: la specializzazione.
Se negli anni ’60 nell’educazione veniva data grande attenzione alla cosiddetta “cultura generale”, nei decenni successivi tale attenzione si è a dir poco rarefatta, giungendo infine ad abdicare in favore di una posizione opposta: è importante ignorare tutto tranne una materia, o persino una parte di una materia, per potersi dire “specialista” e così ottenere maggiore lustro sociale, possibilità di lavoro e retribuzione elevata... Questa scelta ha evidentemente un effetto collaterale. Le persone anziché leggere gli ingredienti dei cibi si limitano a recepire gli slogan commerciali che recita l’etichetta. Di conseguenza, non dovrebbe sorprendere se negli ultimi anni è divenuta sempre più frequente la tendenza a indicare cosa non c’è: senza lattosio, senza grassi idrogenati, senza conservanti, senza glutine, senza olio di palma, ecc.
Dunque, in mancanza di una consapevolezza di base in grado di produrre una visione critica, la troppa scelta porta a una confusione sgradita al pubblico, che si trova generalmente spiazzato.
Ma quindi cos’è la libertà? È veramente qualcosa che vogliamo e apprezziamo, oppure la cosa è relativa?
Per comprendere si può usare l’esempio del foglio a quadretti: esso ci consente di disegnare con maggiore facilità a patto di approssimare la rappresentazione grafica.
Più grande è la quadrettatura, più semplice e approssimato risulterà il disegno.
Non a caso, generalmente i quadretti più grandi si offrono ai bambini e più crescono più i quadretti diventano piccoli fino ad arrivare infine al foglio bianco.
Altro esempio è quello della risoluzione fotografica.
Sappiamo infatti che una fotografia digitale per avere una maggiore accuratezza richiede una maggiore risoluzione, che si può definire come la “densità di informazioni” per unità di superficie: «Riferimento al numero di pixel visualizzati sia verticalmente che orizzontalmente in ogni pollice quadrato di un’immagine digitale. Questo riflette la quantità di informazione contenuta in un’immagine» ci dice Wikipedia.
Ultimo esempio, questa volta “temporale” anziché “spaziale”, è quello dato dalla frequenza dei fotogrammi che compongono un filmato. «La frequenza dei fotogrammi (in lingua inglese frame-rate) è la frequenza di cattura o riproduzione dei fotogrammi che compongono un filmato. Un filmato, o un’animazione al computer, è infatti una sequenza di immagini riprodotte a una velocità sufficientemente alta da fornire, all’occhio umano, l’illusione del movimento. La frequenza dei fotogrammi viene misurata in hertz (Hz), nei monitor a scansione progressiva, oppure espresso in termini di fotogrammi per secondo (fps)».
Dunque un frame-rate più alto consente di evidenziare dettagli (ad esempio un’infrazione sportiva visibile solo in slow-motion), ma come nell’esempio “spaziale” relativo alla risoluzione, richiede un maggiore impegno, che in questo caso è rappresentato dalla grandezza del file e relativa gestione da parte dell’apparato informatico, che in tal caso richiede hw più potenti, costosi e voraci sotto il profilo del consumo energetico.
Cosa c’entra questo con la libertà? Vediamo di esplicitare. Nel caso “spaziale”, possiamo ben capire che vi sia intrinsecamente più libertà nel rappresentare qualcosa su un foglio bianco, che potrebbe corrispondere a un’alta risoluzione, rispetto a un foglio a quadretti, che appunto corrisponde a una pixelatura ampia...
Allo stesso modo, dal punto di vista temporale vi è più libertà in un frame-rate più accurato che consente, ad esempio nei videogames giocati online tra più soggetti tramite internet, di poter effettuare scelte e azioni altrimenti impossibili.
Una maggiore risoluzione percettiva aumenta il flusso di informazioni da gestire e di conseguenza aumenta la complessità e la quantità di domande.
Una minore risoluzione percettiva diminuisce invece il carico coscientivo, dunque anche emotivo, psicologico, ecc.
Ci troviamo dunque in una posizione dialettica molto interessante: se da un lato il limite posto dalle linee dei quadretti rappresenta una scelta compiuta da altri, che ci impone di disegnare le nostre “idee delle cose” lungo delle direttrici preimpostate, da un altro ci solleva dal dover compiere noi stessi tale scelta, ovvero autolimitare il nostro disegnare. Nel caso del foglio bianco, al contrario, saremo noi stessi a dover stare attenti nel tracciare i contorni delle cose. Senza i quadretti, si può finire col disegnare una cosa talmente deforme dall’apparire meno simile alla realtà di quanto non faremmo seguendo la quadrettatura...
Dunque sta a noi acquisire le consapevolezze e le abilità necessarie per eseguire una rappresentazione verosimile.
Ne deriva una prima constatazione: la libertà è qualcosa che si esprime sempre entro, e relativamente a, un perimetro più o meno stringente e approssimante di regole.
Laddove infatti non vi sia una quadrettatura limitativa, colui che disegna assume sovente un proprio modello limitativo (stilizzazione), dove ad esempio per disegnare un volto si limita a tracciare, magari solo mentalmente, un ovale di riferimento che rispetti determinate proporzioni.
Ciò significa che le regole di riferimento possono essere imposte da fuori o da noi stessi, ma ciononostante, sebbene con qualità e accuratezza differente, debbono essere presenti. La regola appare così molto simile a un vaso (yang), in grado di dare una forma al liquido contenuto (yin).
Mentre i quadretti sono un qualcosa che proviene da fuori, al quale ci adattiamo, le regole che ci autoapplichiamo nella stilizzazione di una figura su foglio bianco provengono invece da dentro.
I diversi ordini di libertà sembrano dunque muoversi da una condizione ipotetica dove l’individuo appare completamente yin e acritico (immaginiamo un libro di figure già disegnate, dove la nostra libertà si limita allo scegliere come colorarle), a un’altra condizione opposta, in cui l’individuo autodetermina il proprio recinto di regole. Tra queste due posizioni, appare evidente la funzione della coscienza. Facciamo l’esempio della casa. Immaginando di disegnare un edificio a fantasia, ci accorgiamo che se ad esempio dovessi sottostare alla regola dei quadretti, non sarei libero di disegnarlo rotondo. Ciò significa che colui che definisce le regole, o in questo caso i quadretti, ha deciso di escludere la possibilità che esistano edifici rotondi. In altre parole: chi fa le regole è anche colui che esercita funzioni di scelta, ovvero funzioni della coscienza. Estensivamente, delegare la definizione di regole di base corrisponde col delegare la definizione degli elementi coscientivi di base.
Preferiamo assumercene la responsabilità o delegarle ad altri? Ciò determina il cosiddetto “livello dell’essere”.
Ad esempio, a una medesima domanda può essere data una risposta affrettata (bassa risoluzione) o ben ponderata (alta risoluzione), o persino permettersi di lasciare aperto un sano dubbio, che sprona ad aumentare ulteriormente la risoluzione per ottenere nuovi dati, allo scopo di rispondere con una raffigurazione verbale più corretta.
Sappiamo però che quando si presenta un’emergenza vitale molte dinamiche psicologiche e sociali subiscono una decisa trasformazione.
In questo momento di confusione collettiva, ad esempio, le nostre convinzioni vacillano, e con esse la nostra sicurezza nel tracciare immagini sul foglio bianco: la gente invoca quadretti.
Ma ora facciamo un piccolo passo indietro, e iniziamo col definire la libertà come una condizione relativa dell’essere.
Come non può esservi il pieno senza il vuoto, non può esservi libertà senza il suo antagonista, né movimento senza il principio di riferimento: l’immobile.
Dunque la libertà è relativa a qualcosa, dal quale si è liberi. La libertà di camminare è tale quando si verifica una vittoria sulla forza di gravità, sullo spazio...
Essendo un fatto relativo, la libertà esiste solo entro un perimetro di regole.
Un cane domestico è libero di muoversi entro i limiti a lui imposti dal padrone. Un cane randagio in natura è libero di muoversi entro spazi più ampi, ma limitato severamente dalla natura stessa, nella sua ruota per la sopravvivenza.
Quando si parla di muoversi liberi in uno spazio non escludiamo affatto gli spazi psicologici, emotivi, interiori, mentali... Chiunque di noi sa benissimo che non fa assolutamente tutto quello che potrebbe fare, ma solo una “selezionata” parte. Ciò spesso dipende dai nostri recinti mentali.
La libertà non è dunque qualcosa che è, piuttosto qualcosa che si sperimenta. Non vi è libertà se non nella sperimentazione.
Come si sente freddo solo quando si è caldi, così il freddo è relativo e può dirsi esistere solo nello sperimentarlo; così è anche la libertà, che diviene esperienziale solo rispetto alla sua mancanza.
Si può notare anche osservando i recinti delle varie specie animali, ciascuna limitata coscientivamente, e tuttavia serenamente occupata a esercitare le sue battaglie per la libertà...
Non sapere una cosa equivale a una limitazione, in quanto implica una delega “a fiducia” verso qualcos’altro o qualcun altro. Dunque una libertà a cui si rinuncia.
Tuttavia la coscienza di ciascuno di noi ha un suo limite, e ciò è insindacabile e sacrosanto.
Quindi ciascuno in qualche modo sceglie il proprio recinto e dentro questo recinto esercita le libertà ivi consentite.
Nello sperimentare tali libertà, ciascuno di noi vive una sensazione quantitativamente equivalente, ma qualitativamente differente, da chiunque altro.
Aneddoto: una decina di anni fa, in vacanza low cost in un villaggio turistico in Egitto, stavo trascorrendo il tardo pomeriggio in una delle piscine. Era la meno frequentata perché a causa della disposizione planimetrica dei giardini finiva in ombra dopo le 17:00 circa. Ma ecco che non appena deserta, e ormai in ombra, giungono in piscina due giovani arabe completamente occultate dai loro abiti. Dopo qualche titubanza – ero a una cinquantina di metri da loro – si decisero al grande passo: fare il bagno! Così si tolsero l’abito e... restarono con un altro abito uguale, che indossavano come sotto-abito! Questo tuttavia non impedì loro di entrare nella piscina dei bimbi e giocare come delle matte... ovviamente “matte” secondo la definizione del loro perimetro interiore.
Questo esempio credo possa far comprendere anche un altro aspetto, così descritto dalla visione dell’occultismo neognostico: gli inferni sono dimensioni inferiori, dove il numero di leggi aumenta. Nella terza dimensione, quella che rappresenta il recinto generale della nostra vita per come generalmente la conosciamo, le leggi dominanti sono quarantotto. Nel primo girone infernale novantasei. Quando le leggi aumentano, aumenta l’attrito, la sofferenza. Abbiamo dunque un’indicazione aggiuntiva non tanto della libertà, quanto di un suo opposto: la sua limitazione.
Così comprendiamo anche un ultimo aspetto: il recinto può essere percepito in modo differente da persona a persona, da individuo a individuo.
Per alcuni un recinto, ovvero una limitazione delle possibilità di scelta, rappresenta una gabbia, ovvero qualcosa che limitando la libertà produce loro sofferenza. Per sperimentare una maggiore libertà, tali individui necessitano dell’eliminazione di alcune regole, così da essere liberi di esprimere la propria coscienza al di fuori delle limitazioni che queste regole impongono.
Per altri, lo stesso recinto rappresenta una forma di ordine per uscire dal caos. In tal modo la percezione è opposta. Il caos e la confusione rappresentano un sintomo di sopraffazione coscientiva che, non trovandosi in grado di ordinare, esige che tale ordine venga imposto dall’esterno. Ed ecco dunque che tale recinto diventa l’elemento grazie al quale la coscienza finalmente inizia a sentirsi in equilibrio, e in tale ristretto e ordinato recinto può iniziare a esercitare le proprie scelte, la propria libertà.
Non vi è alcun merito o demerito in ciò. Esistono infiniti ordini di libertà, in alto e in basso, e per questo nulla può dirsi migliore o peggiore, più avanti o più indietro, in senso assoluto. Può solo affermarsi che è prerogativa di ciascuno quella di individuare e posizionarsi entro il recinto che gli corrisponde, ovvero quello entro il quale la propria coscienza possa divenire parte attiva, esercitando la propria libertà di arbitrio.
È invece l’ambizione dell’ego a indurci ad assumere un’idea di noi stessi non obiettiva e al di sopra delle nostre capacità coscientive, che per essere mantenuta senza sperimentare confusione e caos richiede di conseguenza la progressiva accettazione di regole esterne.
Il delegare all’esterno la coscienza rappresenta un’azione che porta l’individuo a un progressivo oblio involutivo. Il posizionarsi correttamente entro i propri “santi limiti” di coscienza consente invece di relazionarsi correttamente con gli altri individui e con l’ambiente, innescando un processo di mutua collaborazione evolutiva.
[foto e articolo originale comparsi sulla pubblicazione Oltreconfine n 16 2020 edito da SpazioInteriore] Scopri le attività e partecipa a Horigen: